la setta dei poeti estinti

Il linguaggio perduto

Quello che nella nostra letteratura ormai è andato perduto è tanta parte dell’attenzione certosina verso il linguaggio. La scelta delle parole, la finitura della sintassi, in un colpo d’occhio: la lentezza della cura. Certo, si tratta di impressioni. Nulla di verificabile né di scientificamente accertabile, ma il mondo “sociale” del web, degli hastag e – più in generale – di una produttività ossessionata dalla crisi e dalla fretta di comparire, hanno imposto una cultura della velocità quasi industriale anche nella scrittura e nella scelta dei romanzi. I libri di poco valore – vedi i romanzetti di Fabio Volo e compagnia bella – sono sempre esistiti, quindi non ci riferiamo a quelli. L’impressione però è che anche i grandi scrittori (o quantomeno quelli pubblicati dalle grandi case editrici) abbiano ormai perso la capacità, il tempo e la possibilità di cesellare il linguaggio, di intarsiare la parola, di far macerare la ricerca dell’espressione più corretta. Al punto che Manganelli, Buzzati, Ceronetti, Calamanderi, Vassalli, Pirandello (per citarne solo alcuni), sono ormai scrittori fuori moda, dimenticati anche dall’eco mediatica che – soprattutto da parte dei grandi gruppi editoriali – viene concentrata altrove: su chi vende in modo facile, gli harmony della letteratura, quelli che in altri tempi non avremmo trovato in bella vista sugli scaffali di importanti librerie.

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Questo libro non ci è piaciuto: “Nessuno è indispensabile”, di Peppe Fiore

Il titolo del romanzo Einaudi è “Nessuno è indispensabile “, di Peppe Fiore. Il proposito del libro è sicuramente edificante: trattare con ironia il mondo del lavoro. E il romanzo inizia anche bene: ficcante, tagliente, racconta senza fronzoli le bassezze private e la disperazione intima di impiegati modello in una grande società casearia che nascondono vite distrutte. Per gran parte del romanzo, a dire il vero, il lettore non stacca gli occhi dal libro. Anzi, corre a prenderlo per averne la compagnia qualsiasi cosa stia facendo. Con i drammatici suicidi, nello svolgersi della storia, che si susseguono e minano la credibilità dell’azienda.

Il problema del libro di Peppe Fiore è il finale: l’ironia e il paradosso – che fin dall’inizio segnano la scrittura di Fiore – da elemento distintivo diventano eccessivi, quasi strabordano nel cattivo gusto. A fronte di una serie lunga e drammatica di personaggi che scelgono di togliersi la vita, la vicenda finisce tra bagni nel latte, maldestre cariche della polizia e partitelle di calcio: tutto scorre e tutto viene lasciato alle spalle, i drammi risultano quasi una trovata teatrale piuttosto che tremende realtà dei giorni nostri. E l’autoreferenzialità dello scrittore che si compiace delle proprie trovate comiche è evidente tanto da risultare pesante, irreale, forzata.

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Tre recensioni “facili”, i miei primi libri del 2014

Siamo a metà del primo mese del 2014 e sono già a quota due libri e un racconto lungo. Tre opere capaci di lasciare il segno, ciascuna a modo suo.

Un bellissimo novembre, di Ercole Patti (Bompiani)

La banda Sacco, di Andrea Camilleri (Sellerio)

Ferragosto addio! di Luca Ricci (Einaudi/ebook)

La prima – Un bellissimo novembre – riporta indietro il lettore agli anni dell’adolescenza, quando ancora non si era stati inquinati dalla banalità del mondo, dall’assenza di grandi prospettive, dalla sfiducia strisciante verso il prossimo e l’amore era una scoperta agrodolce. Il tutto nella cornice di Catania, descritta da Patti nei minimi particolari, tanto da avere l’impressione di aggirarsi lungo via Etnea o più giù, verso la Marina.

Il secondo libro è una delle migliori opere lette negli ultimi anni. Confesso anche che è stata la prima di Camilleri cui mi sia avvicinato (in genere fuggo gli scrittori “commerciali”). L’opera racconta la vicenda realmente accaduta della famiglia Sacco – tutti contadini – che per prima, nel 1920, in Sicilia si ribellò alla mafia. In un’epoca in cui le forze dell’ordine e le istituzioni erano “maffiose” per semplice impotenza e mancanza di mezzi – meglio piegarsi che soccombere – e dove i giudici aggiustavano sentenze e ossequiavano i disonesti, credere nella giustizia era più una scommessa che una certezza. Tant’è che da onesta famiglia di contadini quali erano, la famiglia Sacco si ritrovò ad essere additata come “la banda Sacco”. Il tutto raccontato dalla penna di Camilleri che trasmette quel sapore di dialetto.

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I baci

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Sono belli, dolci, morbidi, bagnati, attorcigliati, silenziosi e complici. I nostri baci. Colorati, misteriosi e curiosi come una manciata abbondante di caramelle colorate, tutte buone.

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Intanto si muore

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Dopo aver letto quasi tutti i romanzi di Diego De Silva (me ne mancano due, tra i primi), sono passato alle pagine di Viola Di Grado e al suo “Cuore cavo”. Opera straniante, sulla morte che contgia e si allarga liquida dal centro, dal corpo al resto. Ed è proprio questo che di solito fa la morte: conquista lentamente spazio, la sua assenza riempie esistenze, provoca lacrime, risveglia le coscienze.

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Nella mia stanza

libriNella mia stanza ho talmente tanti libri che la loro presenza mi conforta. Un po’ come la religione – forse molto meglio, o forse ne sono anch’essi uno strumento – non ti fanno sentire mai solo. Sono una sorta di fede nelle potenzialità espressive e artistiche insite nel genere umano. Ogni libro è un trattato di scienza sull’uomo che guarda l’uomo. E’ una storia d’amore dello sguardo con il mondo. Quasi fossero loro – i libri – l’ultimo spazio vero in cui l’uomo riesce a esser tale, lasciando da parte il cinismo gelido e viscido – come neve sporca – che spesso ci si attacca ai piedi, alle caviglia e su su fino all’anima. 

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