Sapete, non ce la faccio più a dover tornare a casa perché da solo proprio non ce la faccio ad andare a vivere. Il lavoro non me lo permette. E invece tutto è labile, incerto, fumoso e indistinto in questo Paese di Monti, Berlusconi e Bersani. Dicono che siamo la generazione perduta. Forse siamo solo nati nel momento sbagliato, quando la generazione dei nostri genitori ormai aveva cannibalizzato tutto.
E mentre in questo blog leggerete spesso dei miei sentimenti, della mia interiorità, argomento che – ammetterete – potrà anche non interessarvi più di tanto e risponde al mio semplice ego edonistico, il resto – la precarietà – credo sia comune a molti. E non so davvero come uscirne.
L’alternativa è vivere frustrati. E anche quella è una forma di precarietà estrema, una sorta di viscidume dell’anima che si cerca di ignorare. E fino ad oggi posso dire che – nonostante le difficoltà – ancora porto avanti i miei ideali e ciò in cui credo, in un Paese che però non crede in me. Dove la corruzione è ad alti livelli, dove devi conoscere chi ti può dare quel calcio nel sedere così utile a emergere (ma dev’essere un calcio “di qualità”, più potente di quello degli altri, altrimenti è inutile), dove la verità puoi dirla ma non tutta, dove i giovani sono una bella parola solo in campagna elettorale (e nemmeno sempre). Questa è l’Italia. E io, a trent’anni, sono già stanco di tutto.