Scrivendo Annie Ernaux compie un gesto etico: «L’aspetto peggiore della vergogna è che si crede di essere gli unici a provarla» afferma, riversando di proposito sui lettori una scarica di empatia. Svelando segreti, pronunciando l’innominabile, riesce ad abbattere una barriera, inaugurando una nuova forma di autobiografia non più individuale, ma sociologica.
Si tratta di una forma peculiare di letteratura di introspezione, che trae origine da una ferita. Appare evidente in questo senso il legame con Paul Auster, a cui Ernaux è senz’altro debitrice, citato in esergo «Il linguaggio non è la verità. È il nostro modo di esistere nel mondo». Allo stesso modo l’autrice francese concepisce il proprio discorso letterario, nella prospettiva postmoderna della relazione tra linguaggio e realtà.
Non conta più la narrazione di una storia, piuttosto l’analisi di un sentimento, di uno specifico stato d’animo; una certa percezione della vita e del mondo che circonda l’essere umano. È con questa consapevolezza che ci si deve accostare alla scrittura di Annie Ernaux: spesso è impietosa, trafigge come un coltello, tuttavia ha l’innata capacità di purificare lo sguardo e ampliare il pensiero di chi legge. Lorenzo Flabbi, traduttore ed editore dell’opera dell’autrice francese in Italia, ha affermato: «Tradurre Annie Ernaux mi rende una persona migliore», ebbene, in qualità di lettori, non si può far altro che dargli ragione.
La vergogna è un tema ricorrente nelle opere di Annie Ernaux. Se ne trova la più compiuta rappresentazione nel romanzo La Honte, pubblicato da Gallimard nel febbraio 1997 e apparso per la prima volta in Italia nel 1999, edito da Rizzoli, con una traduzione di Orietta Orel. Il libro è recentemente tornato sugli scaffali delle nostre librerie in una nuova traduzione di Lorenzo Flabbi con un titolo più aderente e incisivo: La vergogna.
In una copertina rosso scuro corredata dalle note sagome che accompagnano tutti i libri dell’autrice pubblicati da L’Orma editore, La vergogna sembra aggiungere il tassello mancante all’autobiografia letteraria di Annie Ernaux che i lettori italiani hanno scoperto soltanto in tempi recenti. Vent’anni dopo la prima pubblicazione, il libro conserva tutta la sua freschezza, e soprattutto l’immediatezza della narrazione.
Schietto, crudo, senza fronzoli, estremamente vero fin da quella primissima frase; un incipit diretto, drammatico, sconcertante: «Mio padre ha voluto uccidere mia madre una domenica di giugno, nel primo pomeriggio».
È il racconto di un trauma, rivelato come un segreto, che Annie Ernaux afferma di aver confessato solo «a pochi uomini nella sua vita»; e viene ora, attraverso l’artificio della scrittura, reso pubblico.
L’autrice resuscita la bambina che è stata, facendo rivivere i suoi sentimenti, mostrando la progressiva corruzione della sua innocenza. Inizia così una ricerca tra gli archivi e le memorie dell’epoca nel tentativo di far rivivere i luoghi e le atmosfere di quell’anno capitale della sua esistenza, il 1952, che segna per lei uno spartiacque, l’ultima data certa della sua infanzia.
Per la prima volta Ernaux si definisce «etnologa di sé stessa» e rivela, in costante dialogo con il lettore, la ferita alla base della sua scrittura: «La mia convinzione che fosse proprio quell’episodio che mi spingeva a scrivere, che sia proprio esso alla base dei miei libri». La narrazione è infatti intermezzata da continui riferimenti metatestuali, come se la messa per iscritto conferisse un’identità altra al testo, lo riversasse sugli altri rendendo così quanto accaduto meno personale.
Annie Ernaux
L’Orma editore e la volontà di “portare il mondo in Italia”
Nella piccola e confortevole sede di Via Annia 58, nei pressi del Colosseo, tra bicchieri di vino, un pianoforte, e i gatti Charlie e Pip (poco velato omaggio a Grandi Speranze di Charles Dickens), c’è un universo culturale in fermento, animato da una squadra intellettuale e intraprendente. Gli editori Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi, assieme a ai membri della redazione Elena Vozzi e Massimiliano Borelli, ci aprono le porte de L’Orma editore, la casa editrice romana che nell’ottobre 2017 ha festeggiato il suo quinto anno di attività.
Un’Europa possibile si può creare anche attraverso un’idea di letteratura, persino in tempi burrascosi come i nostri, che incitano al separatismo e alla divisione. I libri dell’Orma editore, hanno il grande merito di aver rivelato al panorama italiano autori francesi e tedeschi ancora sconosciuti e di aver dimostrato ai lettori che il mondo è un posto più vasto di quanto credevano.
Oggi abbiamo una definizione onnicomprensiva e vasta di letteratura, che ormai rappresenta tutto e il contrario di tutto, e spesso il catalogo delle case editrici si adegua a questo universalismo di generi e stili. L’aspetto più avvilente dell’attuale realtà commerciale è l’incentivarsi di un’industria editoriale che tende a ridurre il pubblico a una realtà unica e omogenea, appianando gusti e punti di vista.
Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, ideatori dell’Orma editore, hanno avuto il coraggio di andare controcorrente e proporre una letteratura meno rappresentata, troppo a lungo trascurata dal mercato italiano: la letteratura francese e tedesca che, a loro giudizio, «pagava lo scotto di pregiudizi ormai radicati nel pensiero comune». A lungo, affermano i due editori, c’è stato un “errore prospettico” nella valutazione italiana della letteratura mondiale. Attraverso il loro progetto, Lorenzo e Marco si sono proposti di rimediare a questa imperdonabile mancanza nella nostra cultura, gettandosi a capofitto nella loro personale avventura, con l’ambizione guerresca di conquistare un pubblico e, soprattutto, la mente dei lettori.
Fondare una casa editrice non rientrava esattamente nei loro piani: amici di lunga data, entrambi di formazione accademica, ricercatori e docenti universitari all’estero, avevano una carriera avviata e una posizione stabile, lanciarsi in un’impresa simile poteva apparire a tutti gli effetti un salto nel vuoto. Il progetto è maturato nel tempo e si è risolto con una stretta di mano in Piazza Duomo, a Milano, dove è stata fissata la sede legale della casa editrice. A far scoccare l’idea era stata la loro collaborazione congiunta al sito Sguardomobile, da cui sarebbe nata una collana di saggi di letteratura comparata pubblicata dalla casa editrice fiorentina Le Lettere. Traducendo insieme un testo linguisticamente difficile del poeta irlandese Ciaran Carson, si scoprirono totalmente coinvolti da quel lavoro e, soprattutto, avvertirono la volontà comune di «fare il bene del testo» e restituirlo ai lettori nella versione più adeguata possibile. «La letteratura ha reso le nostre vite qualcosa di molto diverso,» racconta Lorenzo Flabbi «eravamo entrambi uomini di lettere e in quel momento l’idea di poter divulgare la nostra passione ci è apparsa come una sorta di vocazione». Da quell’iniziale progetto deriva la missione fondativa dell’Orma: «Tradurre in Italia ciò che si muove in Europa».
Sono tornati in patria con la volontà di arricchire il loro Paese attraverso il bagaglio culturale della loro esperienza, creando una casa editrice di stampo novecentesco dalla fisionomia editoriale riconoscibile e innovativa.
I libri dell’Orma editore sono maneggevoli grazie al loro formato squadrato, conquistano con le loro copertine colorate, e la riconoscibilità del logo li rende inconfondibili: quei particolarissimi occhi stilizzati che, in realtà, rimandano al saggio sui segni incondizionati dell’Illuminista Humbert de Superville. «I segni incondizionati», spiega Lorenzo Flabbi «sono i segni base da cui deriva tutto, da cui sarebbe possibile ricavare qualsiasi immagine». Allo stesso tempo, aggiungono gli editori, quegli occhi stilizzati dimostrano la loro volontà di mostrarci ciò che tutti noi abbiamo sotto lo sguardo e che troppo spesso, per sbadataggine o disattenzione, non vediamo.
Cesare Pavese nella sua carriera di editor e traduttore per Einaudi affermò che la sua missione era proprio quella di “portare il mondo in Italia” e riuscì nel suo intento aprendo il nostro Paese all’incontro con il mito americano. Lo stesso proposito anima gli editori dell’Orma e la loro collana ammiraglia, la Kreuzville, nata dall’unione di due quartieri in cui entrambi hanno vissuto per anni: Kreuzberg a Berlino e Belleville a Parigi. Attraverso la topografia di questi paesaggi si designa l’immagine di un’Europa futura, fatta di mescolanze, differenze che vengono a contatto e, spesso, anche di contraddizioni. La Kreuzville è molto più di una collana editoriale, è un luogo e uno strumento di pensiero.
Scrivo di mia madre per metterla al mondo – “Una donna” di Annie Ernaux
«Io credo che, in qualche modo, il mio desiderio di scrivere derivi dal desiderio di mia madre. Mia madre aveva una grande ammirazione per i libri, per gli scrittori. Lei ha avuto un’influenza straordinaria su di me». Con questo delicato e toccante ricordo, Annie Ernaux risponde a una delle domande di Claire-Lise Tondeur sulle cause che l’hanno spinta alla scrittura, in un’intervista del luglio 1993.
Al di là del talento individuale, tutto viene dunque ricondotto all’immagine di quella donna poco istruita, lavoratrice instancabile che, di tanto in tanto, vedendo la figlia leggere, sospirava: «Ah, se fossi stata capace di farlo mi sarebbe piaciuto scrivere un romanzo».
Un romanzo quella donna non l’ha scritto, ma qualcun altro l’ha fatto per lei: raccontando, con minuzia di particolari, la sua esistenza quasi allo scopo di consegnarle nuovamente la vita. All’origine di questo libro si trova un significato quasi religioso; si potrebbe definire un tentativo di resurrezione.
A questo proposito è di forte impatto emotivo il passaggio di testimone da madre a figlia, quando l’autrice annuncia la sua nascita al futuro e, subito dopo, in un geniale salto temporale recupera le fila della narrazione al presente: «All’inizio del 1940 aspetta un altro figlio. Nascerò in settembre. Ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo». ( p.40) Non si tratta di un ritratto angelico, al contrario, tanto umano da risultare quasi diabolico, lo rivelano le prime frasi: «Era violenta» e ancora «Era una donna che bruciava tutto».
Sempre nell’intervista del 1993, Ernaux afferma: «Un progetto materno terribile ha pesato su di me». L’aspetto “terribile” consiste nella volontà materna di consentire alla figlia di compiere il cosiddetto “balzo sociale” permettendole così di liberarsi da una condizione subalterna attraverso l’istruzione: «elevarsi per lei significava soprattutto imparare.» La vicinanza tra i due mondi, rurale-operaio e borghese, posti spesso in opposizione, sarà uno dei temi più ricorrenti nella scrittura della Ernaux, e in particolare all’origine di quel particolare sentimento di “vergogna sociale” che l’ha perseguitata per tutta la vita: la vergogna per le proprie origini e, allo stesso tempo, l’inestinguibile senso di colpa dettato da questa vergogna. Una frase, soprattutto, esemplifica l’ambiguità di questo conflitto: In certi momenti aveva in sua figlia, di fronte a lei, un nemico di classe.
Ѐ quasi commuovente il valore incommensurabile attribuito alla cultura da parte di una donna che gestiva un bar-drogheria in un piccolo paesino della Senna Marittima; una commerciante che nella vita di tutti i giorni doveva preoccuparsi di faccende ben più materiali e urgenti, come far tornare i conti, gestire i clienti, tirare avanti l’attività per sfamare la famiglia. «I libri erano gli unici oggetti che lei maneggiava con attenzione e precauzione. Si puliva sempre le mani, prima di toccarli».
Annie Ernaux, quattro anni dopo Il Posto (l’opera sulla vita del padre che l’ha consacrata al giudizio della critica) nel 1987, a seguito della morte della madre, scrisse questo libro, avvalendosi ancora una volta di uno stile affilato, scarno, che procede per paragrafi brevi, elenchi, ripetizioni. Une femme, per l’appunto. Il romanzo fu pubblicato dall’editore Gallimard nel 1988, apparve per la prima volta in Italia presso Guanda nello stesso anno con il titolo “Una vita di donna”. A quasi trent’anni di distanza, L’Orma editore ce ne riconsegna l’edizione italiana con una traduzione di Lorenzo Flabbi, vincitore del Premio Stendhal per Memoria di ragazza, precedente libro della Ernaux pubblicato nell’aprile 2017.
Una donna. Ѐ bene sottolineare la rilevanza dell’articolo indeterminativo nel titolo, rivela l’intenzione di voler racchiudere in sé un’esperienza universale che trascende il significato della vita individuale. All’intersezione tra famigliare e sociale, tra mito e storia, secondo la volontà dell’autrice che ha coniato questo nuovo genere letterario definibile come “Autobiografia impersonale”, in cui il punto di vista mantiene sempre una certa distanza oggettivante dai fatti narrati, senza indugiare nel lirismo né nell’introspezione. Una ricostruzione accurata che non si adagia nel patetismo del ricordo o delle descrizioni minuziose.
Più che una narratrice, un’archivista, come lei stessa si definisce: «Questo sapere trasmesso per secoli da madre in figlia si ferma a me, che ormai ne sono soltanto l’archivista».