la setta dei poeti estinti

#reading “Ieri” di Agota Kristof (Einaudi)

Di seguito il nostro nuovo #reading, con alcuni passi e citazioni da “Ieri” (titolo originale: Hier), romanzo di Agota Kristof, pubblicato in Italia da Einaudi.

    • Ieri soffiava un vento conosciuto. Un vento che avevo già incontrato. Era una sorta di primavera precoce.
    • Line ti amo. Ti amo veramente, Line, ma non ho tempo per pensarci, ci sono tante cose alle quali devo pensare, per esempio a questo vento, adesso dovrei uscire e camminare nel vento. Non insieme a te, Line, non ti arrabbiare. Camminare nel vento è una cosa che non si può far altro che da soli […].
    • Se avessi veramente cercato di morire, sarei già morto. Volevo soltanto riposarmi. Non potevo più continuare la vita così, la fabbrica e tutto il resto, l’assenza di Line, l’assenza di speranza. Alzarsi alle cinque del mattino, andare, correre in strada per prendere il bus, quaranta minuti di tragitto, arrivare nel quarto villaggio, tra le mura della fabbrica. Sbrigarsi a infilare il camice grigio, timbrare in fretta davanti all’orologio, correre verso il proprio macchinario, metterlo in moto, fare il buco più rapidamente possibile, un altro buco, un altro, sempre lo stesso buco nello stesso pezzo, diecimila volte al giorno, se possibile, è da quella velocità che dipende il salario, la vita.
    • “…allora perché continua a vederla?” “Perché non ho nessun’altra. E perché non ho voglia di cambiare. Ho cambiato talmente tanto in un certo periodo che sono stanco. Comunque è sempre la stessa cosa, una Yolande vale l’altra. Vado da lei una volta a settimana. Lei cucina e io porto il vino. Non c’è amore tra noi.

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Questo libro non ci è piaciuto: “Nessuno è indispensabile”, di Peppe Fiore

Il titolo del romanzo Einaudi è “Nessuno è indispensabile “, di Peppe Fiore. Il proposito del libro è sicuramente edificante: trattare con ironia il mondo del lavoro. E il romanzo inizia anche bene: ficcante, tagliente, racconta senza fronzoli le bassezze private e la disperazione intima di impiegati modello in una grande società casearia che nascondono vite distrutte. Per gran parte del romanzo, a dire il vero, il lettore non stacca gli occhi dal libro. Anzi, corre a prenderlo per averne la compagnia qualsiasi cosa stia facendo. Con i drammatici suicidi, nello svolgersi della storia, che si susseguono e minano la credibilità dell’azienda.

Il problema del libro di Peppe Fiore è il finale: l’ironia e il paradosso – che fin dall’inizio segnano la scrittura di Fiore – da elemento distintivo diventano eccessivi, quasi strabordano nel cattivo gusto. A fronte di una serie lunga e drammatica di personaggi che scelgono di togliersi la vita, la vicenda finisce tra bagni nel latte, maldestre cariche della polizia e partitelle di calcio: tutto scorre e tutto viene lasciato alle spalle, i drammi risultano quasi una trovata teatrale piuttosto che tremende realtà dei giorni nostri. E l’autoreferenzialità dello scrittore che si compiace delle proprie trovate comiche è evidente tanto da risultare pesante, irreale, forzata.

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Tra le parole e i romanzi di Diego De Silva

diego-de-silvaNel caso vi fosse sfuggito,  in libreria andate a rovistare tra gli scaffali e cercate “Non avevo capito niente“,  di Diego De Silva, edito per i tipi Einaudi. Sì che poi non è l’ultimo romanzo uscito. No. L’ultima sua opera è un libercolo fino e smilzo, dal titolo accattivante: “Mancarsi“. Vale la pena, ma il buon De Silva – a mio avviso uno psicologo prima che uno scrittore – ha espresso di meglio proprio in “Non avevo capito niente”.

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