In occasione della serata di letture dedicata a Pier Paolo Pasolini, del 2 novembre a Palazzo Merulana, riportiamo qui il testo introduttivo all’incontro, con una ricostruzione dell’ultima sera di PPP a Roma, prima di essere barbaramente ucciso.
di Emilio Fabio Torsello
«Ecco il seme, il senso di tutto. Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo”». Sono circa le sei del pomeriggio del 1 novembre 1975 quando Pier Paolo Pasolini saluta Furio Colombo, giornalista del quotidiano La Stampa. I due si erano visti per una intervista, per parlare di politica, del “Sistema”. Ma il sole ormai è calato, la luce è poca e Furio Colombo non riesce più a prendere appunti. Pasolini forse volutamente non accende la lampada nella sua stanza. Si avvicina a Furio e rivedono insieme i punti salienti delle risposte alle domande. “Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti – afferma Pasolini dopo un attimo di silenzio – Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Avrai le note che aggiungo per domani mattina”.
Una risposta di Pasolini riguardava la natura del potere: “Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo stani?”, chiedeva Furio Colombo. E Pier Paolo, con quella sua voce docile ma decisa, raffinata: “Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono”.
Furio Colombo e Pier Paolo Pasolini si salutano. Pier Paolo nei giorni successivi sarebbe dovuto partire per partecipare al congresso dei Radicali, “quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con loro)”.
Quella sera ha appuntamento con Ninetto Davoli, i due ormai si frequentano come buoni amici dopo una relazione di nove anni che Pasolini aveva raccontato in una serie di Sonetti rimasti inediti fino agli anni Duemila. Si vedono al ristorante “Pommidoro”, nel quartiere di San Lorenzo – che ancora porta i segni della guerra e dei bombardamenti -, in piazza dei Sanniti. Con il titolare, Aldo Bravi, si conoscono da molto tempo. Addirittura una volta Bravi riuscì a salvare Pasolini da una rissa scoppiata dopo che Pier Paolo aveva difeso alcuni poliziotti. I ragazzetti del collettivo di via dei Volsci erano usciti sulla strada e giù botte. Aldo Bravi a quel punto aveva iniziato a urlare “Fermateve! Fermateve! E’ uno scrittore! E’ un poeta!”. Ma servì a poco.