In occasione della serata di letture dedicata a Fernando Pessoa, organizzata insieme all’hub culturale della Regione Lazio “Spazio Moby Dick”, il 25 maggio 2018, pubblichiamo una breve “guida all’ascolto” sugli scritti del poeta portoghese.
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Il sogno, il confine dell’umano inteso come spartiacque e punto di contatto tra interiorità e mondo esterno, la vita vissuta in un sentire amplificato, sconvolto dalla capacità percettiva che scova sensi e significati in ogni gesto, in ogni accadimento. E ancora, la “convivenza” degli eteronimi, che guardano – senza sosta – a quell’ortonimo cui tutto torna: Fernando Pessoa.
Gli scritti del poeta e scrittore portoghese sono una lente di ingrandimento sulla società e sull’uomo che ha come punto di partenza il singolo. Per molti aspetti, la poesia e quell’enorme zibaldone di pensieri qual è Il Libro dell’Inquietudine rappresentano lo sforzo ontologico di Fernando Pessoa, con una ricerca che ha come punto di congiunzione con l’altro la pelle, l’occhio, i sensi, il confine dell’uomo con il mondo esterno. E la ricerca di significato nei segni, quando è rivolta verso l’interiorità, indaga le percezioni ricevute e – prima su tutti – ha come luogo il sogno. È nella dimensione onirica che Pessoa crea e vive una realtà parallela, qui trova rifugio:
E il sogno, la vergogna di fuggire verso me stesso, la codardia di avere come vita quella spazzatura dell’animo che gli altri hanno soltanto nel sonno, nella immagine della morte attraverso la quale russano, nella tranquillità, che li fa sembrare dei vegetali progrediti! […] E così, facendo quello che non voglio fare e sognando quello che non posso avere, trascino la mia vita…assurda come un orologio civico fermo. Quella sensibilità tenue ma ferma, il sogno lungo cosciente…che costituisce nel suo insieme il mio privilegio di penombra. (Libro dell’Inquietudine, pp.39,40 – ed Feltrinelli 2001)
Ed è da questa commistione tra reale e sogno che nascono poi i cosiddetti eteronimi di Fernando Pessoa, personaggi con una loro specificità – dalla data di nascita e morte alla poetica, agli studi, alla biografia. Esistenze “immaginarie” ma con una dignità di persona. I più noti sono Álvaro de Campos (nato a Tavira, in Portogallo, nel 1890. Studiò ingegneria e si trasferì a vivere in Scozia. Viaggiò molto e morì – insieme con Pessoa – il 30 novembre 1935), Ricardo Reis (medico di ideologia monarchica che si trasferì in Brasile per protesta nei confronti della Repubblica portoghese – non si conosce la data della sua morte), Alberto Caeiro (nato a Lisbona, contadino, la sua visione della vita si può riassumere nel verso “C’è sufficiente metafisica nel non pensare a niente”. La sua opera è raccolta nel volume “Poemas Completos de Alberto Caeiro”) e Bernardo Soares. Quest’ultimo è considerato un eteronimo incompleto, visti i numerosi punti di contatto con la realtà viva e vissuta di Fernando Pessoa. Come Pessoa, infatti, Soares era un grigio impiegato, come Pessoa spesso si rivolge al sogno, come Pessoa vede riflesso nei microcosmi cittadini il mondo intero. E soprattutto a Bernardo Soares è attribuito “Il Libro dell’Inquietudine”.
Pessoa iniziò fin da piccolo a vivere insieme ai suoi eteronimi. In una lettera scritta il 13 gennaio 1935 ad Adolfo Casais Monteiro, lo scrittore portoghese racconta:
“Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia.”
La realtà conosciuta da Pessoa è quindi un caleidoscopio di sensazioni ed esperienze vissute su diverse dimensioni: gli eteronimi – ciascuno con la propria visione della vita e il proprio sentire – la vita vissuta da Fernando Pessoa e il sogno.
Sempre nella stessa missiva inviata a Monteiro, Pessoa aggiunge:
“L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. […] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso”.
Mentre ne Il Libro dell’inquietudine leggiamo: