Una delle “Pagine milanesi” di Leonardo Sinsgalli, all’inizio dell’omonimo volume edito da Hacca, lascia senza fiato per la bellezza di una prosa fine, molto simile alla poesia. Sono parole che raccontano la città di Milano e quella bruma silenziosa e onnivora che spesso l’avvolge, che permea vite, case, paesaggi. Senza troppe introduzioni, ve la riporto di seguito.
Introduzione a Milano
(3 dicembre 1933)
Sono giunto in questa città una sera d’inverno: faticosamente il sangue ha fatto abitudine agli agguati della nebbia. Nasceva dalla terra, penetrava i muri, veniva fuori in certe ore dalle concimaie della periferia e la bocca faceva acre, le reni acide.
La finestra della mia stanza guardava una vasta parete di confine, cieca, bianca, che lungamente poi m’è rimasta nel sonno; mi dissero che nei giorni sereni avrei potuto vedere la Brianza e le Alpi. Per un’intera stagione dal cortile profondo come un pozzo e opaco, non è venuta nessuna voce: mi piaceva nel cuore della notte il rumore dell’ultimo treno che passava sul ponte della vicina stazione di Lambrate e partiva per la riviera, e prima dell’alba lo squillo, così distante, della trombetta del lattaio.
Poi ho conosciuto la pietra delle case, sensibile alle stagioni più della scorza degli alberi, una pietra vischiosa, cresciuta al buio e all’umidità. La nebbia mi si palesava meno ostile; l’alba si spegneva nella sua falsa luce con occhi d’agnella, clementi, e cieli si facevano così bassi che la zolla franta ne odorava. Una mattina l’aria mi parve più chiara e sonora intorno alle case che cominciavo a scoprire; vidi una colomba sopra il cancello di una villa in via Porpora, la testa in attesa, in amore. Quando, dopo, la colomba scomparve, non ci fu più alcun sostegno tutt’intorno e la neve cominciò a cadere.