la setta dei poeti estinti

SKYTG24: “La Divina commedia a misura di social”: al via l’iniziativa con Ferroni

Verranno riscoperti i personaggi, i luoghi, le storie e letti alcuni tra i più bei canti della Divina Commedia. I contenuti, che si avvalgono della consulenza del critico italiano, saranno poi divulgati attraverso i canali Instagram, Facebook e TikTok della “Setta dei poeti estinti”.

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ANSA: Arriva ‘La Divina Commedia a misura di social’

Il 20 marzo Ferroni inaugura l’iniziativa de La Setta dei Poeti estinti

(ANSA – di Mauretta Capuano) – ROMA, 19 MAR – L’opera del Sommo Poeta arriva su Instagram, Facebook e TikTok con ‘La Divina Commedia a misura di social’, l’iniziativa lanciata dal progetto letterario ‘La Setta dei Poeti estinti’ a 700 anni dalla morte dell’Alighieri e per il Dantedì del 25 marzo.

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MASHABLE: Un account spiega le figure retoriche su Instagram e TikTok grazie ai Queen e ai Ferragnez

di Luca Francescangeli

Cosa c’entrano i Queen con la climax? E i Ferragnez con la crasi? Sapete che l’anafora non è un recipiente, vero? Parliamo di figure retoriche e dell’idea dell’account La setta dei poeti estinti (sì, la citazione è proprio dal mitico film L’attimo fuggente) di spiegarle con mini video di 30 secondi su Instagram e TikTok.

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La divina commedia a misura di social

La Divina Commedia a misura di social” è l’iniziativa lanciata dal progetto culturale “La Setta dei Poeti estinti” – con oltre 315mila follower su Facebook, Instagram, Twitter e TikTok e tra gli account letterari più seguiti in Italia – per raccontare una delle opere più straordinarie della letteratura mondiale, sfruttando gli strumenti che tutti utilizziamo ogni giorno: i social network.

Con la preziosa consulenza del professor Giulio Ferroni, docente di Letteratura italiana presso l’Università La Sapienza di Roma e autore, tra gli altri, del volume “L’Italia di Dante” (in libreria per i tipi La nave di Teseo) e il patrocinio della Società Dante Alighieri, verranno riscoperti i personaggi, i luoghi, le storie e letti alcuni tra i più bei canti della Divina Commedia. I contenuti saranno poi divulgati attraverso i canali Instagram, Facebook e TikTok de “La Setta dei poeti estinti”, usando i Reel, i TikTok, le live, InstagramTv, le stories e i post.

Il format è dedicato soprattutto ai giovani: basti pensare che il 76% degli oltre 315mila follower de La Setta dei Poeti estinti ha tra i 13 e i 34 anni, una fascia d’età che ricomprende non solo quanti ancora studiano durante la scuola dell’obbligo ma anche universitari e giovani professionisti. In occasione dei 700 anni dalla scomparsa del Sommo Poeta, quindi, il progetto letterario de “La Setta dei Poeti estinti”, ispirato al film di Peter Weir “L’Attimo fuggente”, vuole rendere omaggio alla figura del Sommo Poeta, avvicinando tutte le fasce di pubblico alla letteratura.

L’idea – spiega Emilio Fabio Torsello, giornalista e fondatore del progetto letterario “La Setta dei Poeti estinti”nasce dalla consapevolezza che ormai si legga sempre meno ma si tenga sempre più spesso uno smartphone in mano, motivo per cui vogliamo portare l’opera del Sommo Poeta dove forse mai si penserebbe di poterla leggere e apprezzare: gli smartphone e i social. E lo faremo con la consulenza preziosa del professor Giulio Ferroni, tra le voci più autorevoli del panorama letterario italiano”.

I 700 anni dalla morte di Dante Alighieri – sottolinea Mara Sabia, attrice e docente, nonché partner del progettosono l’occasione per rileggere la Divina Commedia e porgerla alle nuove generazioni attraverso i canali a loro più vicini, divulgando contenuti e nozioni di alto livello ma in modo accessibile”.

Tra gli incontri in programma, anche un’importante diretta con Giulio Ravizza, Marketing Lead di Facebook Italia, in cui verranno approfondite le opportunità create per il settore culturale proprio dall’utilizzo dei social network.

Gli incontri e gli approfondimenti partiranno dal 20 marzo alle ore 19, con una diretta inaugurale con il professor Giulio Ferroni. Mentre la diretta con Giulio Ravizza (Facebook Italia) è prevista per il 25 marzo alle ore 21.30. Tutti gli eventi successivi verranno poi annunciati di volta in volta sulle pagine social de “La Setta dei Poeti estinti”.

I NOSTRI CANALI:

MOW: La setta dei poeti estinti: “Con la cultura si mangia, ma diamole un’anima”

di Stefania Massari

È una delle realtà culturali di divulgazione più seguite e interessanti dell’universo social e riesce ad aggregare migliaia di persone intorno alla letteratura e alla poesia: segno che non tutto è ancora perduto >> CONTINUA A LEGGERE

“Non devo scordare che il cielo fu in me”, Antonia Pozzi

Un poeta si distingue per la singolarità del proprio sguardo. La poesia, proprio come la fotografia, è una questione di prospettiva; il tentativo artistico di donare al tempo l’immortalità. 

Le immagini scattate da Antonia Pozzi parlano con la stessa voce dei suoi versi; gli album fotografici da lei raccolti sono diari intimi, libri di memorie, nel quale è conservato un frammento dei suoi occhi puri, spalancati a cogliere con intensità ogni momento della vita. È lei la poetessa tragica del nostro Novecento, riscoperta postuma grazie alla pubblicazione dei suoi scritti che nel 1945 ottennero l’apprezzamento di Eugenio Montale e furono in seguito riediti nella rinomata collana «Specchio», l’edizione della Mondadori dedicata ai poeti più illustri.  

La figura di Antonia Pozzi è stata oggetto solo negli ultimi decenni di una clamorosa riabilitazione, che ha condotto ad analizzare più a fondo anche la sua abilità come fotografa. I tratti salienti della sua biografia sono noti e liberano la sua esistenza da ogni mistero: «Io sono tutta una magrezza acerba inguaiata in un colore avorio», così si descriveva giovanissima nella poesia Canto della mia nudità. Milanese, di famiglia altolocata, Antonia sembra soffrire come una prigioniera nell’ambiente colto e raffinato in cui vive. La sua intelligenza precoce rende buia la sua adolescenza. Inizia a scrivere i primi componimenti da studentessa, nel corso degli anni trascorsi al Liceo Classico Manzoni; anni segnati dall’innamoramento per il suo professore di latino, Antonio Maria Cervi. Il legame tra i due fu fortemente avversato dalla famiglia di lei, in particolare dall’ostilità del padre. 

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“Un uomo che legge ne vale due”, la libreria della Rue Charras di Kaouther Adimi

Kaouther Adimi giovane vincitrice del Premio Goncourt confessa di aver iniziato a scrivere da bambina perché non aveva libri da leggere. Autrice algerina-francofona ha trent’anni ma sembra poco più di una ragazzina, mentre con voce bassa e pacata racconta la trama del suo ultimo libro La libreria della Rue Charras (L’Orma editore), vero e proprio caso letterario in Francia. Solo in apparenza la storia romanzata di un editore, in realtà questo romanzo tra le righe nasconde ben altro: uno scontro culturale che si riflette appieno nell’attualità del nostro presente. Adimi mette in luce con una narrazione semplice e scorrevole il problema dell’Algeria, la sua identità francofona che rende il Paese un incrocio di culture tra l’Europa e l’Africa.

«Non siamo noi ad abitare i luoghi, ma sono i luoghi ad abitare noi», afferma malinconicamente uno dei protagonisti di La libreria della Rue Charras alla fine del libro. Rimane un ultimo testimone, Abdallah, a fare da custode a Nos Richesses quel patrimonio inestimabile di libri e valori che hanno fondato un’intera esistenza sull’idea che, per l’appunto, le vere ricchezze della vita siano quelle testuali, interiori.
Abdallah sosta davanti alla libreria con un telo bianco posato sulle spalle come un sudario, gli occhi neri, talmente scuri che non si riesce a vederne neanche l’iride. Sembra il fantasma di un tempo ormai scomparso, riunisce nella sua persona due binari temporali: passato e presente che tengono le fila della narrazione.

Nel 1936 al due bis della Rue Charras apre le Éditions Charlot. Viene mostrato al lettore dapprima il fermento di un luogo che diventa veicolo di cultura, poi una vetrina opaca, una stanza polverosa che attende di essere sgomberata, ormai ridotta a reperto archeologico di un’altra epoca. In Algeria il ventenne Edmond Charlot, studente difficile e con la testa tra le nuvole, rinuncia all’università per dedicarsi anima e corpo all’impresa di fondare una libreria-casa editrice, incoraggiato dal suo insegnante di filosofia. Scrive sul suo diario il 5 maggio 1936: «Sarà una biblioteca, una libreria, una casa editrice, ma sarà innanzitutto un luogo per gli amici che amano la letteratura e il Mediterraneo».
Quasi un secolo dopo a Parigi, Ryad, studente di ingegneria, cerca disperatamente un’attività da svolgere come tirocinio curricolare. Il caso lo riporterà in Algeria, suo paese natale, incaricandolo di un compito ingrato: sgomberare la libreria di Rue Charras e ritinteggiarla per dare spazio a un nuovo locale, una pasticceria. Nello stesso luogo in cui uno studente si era battuto per amore dei libri, un altro “guarda quei caratteri neri stampati sulla carta e tutto ciò a cui pensa sono gli acari.” (p.76) Costruzione e distruzione della libreria si alternano nel romanzo con un ritmo avvincente in una narrazione ricca di personaggi divertenti e indimenticabili, pervasa dal fascino esotico di un paesaggio dalle mille sfumature di colori e misteri.

Kaouther Adimi ci conduce per mano per le viuzze di una città immaginifica baciata dal sole, facendoci vivere le sue atmosfere e incontrare la sua gente: «Ad Algeri non ci sarà mai un’alba senza una baruffa di gatti» (p.48). Si sente l’azzurro del cielo sulla testa e le piogge improvvise; si assiste all’esordio di scrittori del calibro di Albert Camus e alla tragica fine di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore de Il Piccolo Principe, precipitato a bordo del suo velivolo. È la storia di un amore illimitato per la letteratura, capace di sopravvivere alla censura, alle restrizioni imposte dalla guerra che si rivelano nel dramma di “trovare la carta” per continuare le pubblicazioni. Tra attimi di esaltazione, successi e devastazioni, non mancano neppure i momenti di scoramento, riflessi nelle memorie di Charlot: «L’editoria ha condizionato la mia intera esistenza, finirà per portarmi via moglie e figli». (p. 130)

La Libreria della Rue Charras è un libro particolare proprio per l’alternanza di punti di vista che si trova al suo interno, che non frammentano la lettura, al contrario la rendono più avvincente: dalla terza persona singolare alla prima persona plurale, il tutto arricchito dalla narrazione diaristica attraverso l’espediente del fantomatico taccuino di Edmond Charlot.

Nella parte centrale del romanzo rivive anche una pagina inedita di storia: il massacro di centinaia di algerini avvenuto a Parigi il 17 ottobre 1961, un fatto tuttora considerato un “non avvenimento” e non riconosciuto dallo stato francese. Una piaga ancora aperta che viene affrontata in questo libro con un lucidità senza precedenti. Adimi spiazza il lettore adottando in questa descrizione il punto di vista dei francesi. Una prima persona plurale che improvvisamente passa dalla parte del nemico abbracciando il suo sguardo. Una scelta stilistica sorprendente in grado di aggiungere un carico di violenza, di ferocia inaudita alla scrittura, che d’un tratto prende un ritmo vorticoso, una parola dopo l’altra, delineando un’escalation di aggressività e orrore.
Nei libri di storia dei licei francesi il riferimento al massacro occupa poche righe, qui vengono dedicate all’avvenimento parecchie pagine e il tutto viene ricollegato al presente in modo drammatico, lasciando intuire la ferita di una memoria ancora sanguinante.
Un uomo che legge ne vale due”, recita così l’insegna della libreria Nos Richesses. Una scritta duplice, in francese e in arabo, ribadisce la volontà di creare un ponte d’unione tra le due culture.
Tra le pareti di questa stanzetta angusta e polverosa passa la storia del mondo, di intere generazioni. Il progetto di Edmond Charlot dà vita a un ideale di letteratura cosmopolita, senza distinzioni di lingua, nazionalità o religione.
Un messaggio forte che trapela tra le righe e commuove è il potere salvifico dei libri, che risiede nella loro capacità di rivoluzionare le esistenze. Libri che vengono rilegati, stampati, curati nel dettaglio della stampa e delle copertine. Libri spesso offerti in dono, libri che salvano.

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Fernando Pessoa, il poeta degli eteronimi

In occasione della serata di letture dedicata a Fernando Pessoa, organizzata insieme all’hub culturale della Regione Lazio “Spazio Moby Dick”, il 25 maggio 2018, pubblichiamo una breve “guida all’ascolto” sugli scritti del poeta portoghese.

Il sogno, il confine dell’umano inteso come spartiacque e punto di contatto tra interiorità e mondo esterno, la vita vissuta in un sentire amplificato, sconvolto dalla capacità percettiva che scova sensi e significati in ogni gesto, in ogni accadimento. E ancora, la “convivenza” degli eteronimi, che guardano – senza sosta – a quell’ortonimo cui tutto torna: Fernando Pessoa.

Gli scritti del poeta e scrittore portoghese sono una lente di ingrandimento sulla società e sull’uomo che ha come punto di partenza il singolo. Per molti aspetti, la poesia e quell’enorme zibaldone di pensieri qual è Il Libro dell’Inquietudine rappresentano lo sforzo ontologico di Fernando Pessoa, con una ricerca che ha come punto di congiunzione con l’altro la pelle, l’occhio, i sensi, il confine dell’uomo con il mondo esterno. E la ricerca di significato nei segni, quando è rivolta verso l’interiorità, indaga le percezioni ricevute e – prima su tutti – ha come luogo il sogno. È nella dimensione onirica che Pessoa crea e vive una realtà parallela, qui trova rifugio:

E il sogno, la vergogna di fuggire  verso me stesso, la codardia di avere come vita quella spazzatura dell’animo che gli altri hanno soltanto nel sonno, nella immagine della morte attraverso la quale russano, nella tranquillità, che li fa sembrare dei vegetali progrediti! […] E così, facendo quello che non voglio fare e sognando quello che non posso avere, trascino la mia vita…assurda come un orologio civico fermo. Quella sensibilità tenue ma ferma, il sogno lungo cosciente…che costituisce nel suo insieme il mio privilegio di penombra. (Libro dell’Inquietudine, pp.39,40 – ed Feltrinelli 2001)

Ed è da questa commistione tra reale e sogno che nascono poi i cosiddetti eteronimi di Fernando Pessoa, personaggi con una loro specificità – dalla data di nascita e morte alla poetica, agli studi, alla biografia. Esistenze “immaginarie” ma con una dignità di persona. I più noti sono Álvaro de Campos (nato a Tavira, in Portogallo, nel 1890. Studiò ingegneria e si trasferì a vivere in Scozia. Viaggiò molto e morì – insieme con Pessoa – il 30 novembre 1935), Ricardo Reis (medico di ideologia monarchica che si trasferì in Brasile per protesta nei confronti della Repubblica portoghese – non si conosce la data della sua morte), Alberto Caeiro (nato a Lisbona, contadino, la sua visione della vita si può riassumere nel verso “C’è sufficiente metafisica nel non pensare a niente”. La sua opera è raccolta nel volume “Poemas Completos de Alberto Caeiro”) e Bernardo Soares. Quest’ultimo è considerato un eteronimo incompleto, visti i numerosi punti di contatto con la realtà viva e vissuta di Fernando Pessoa. Come Pessoa, infatti, Soares era un grigio impiegato, come Pessoa spesso si rivolge al sogno, come Pessoa vede riflesso nei microcosmi cittadini il mondo intero. E soprattutto a Bernardo Soares è attribuito “Il Libro dell’Inquietudine”.

Pessoa iniziò fin da piccolo a vivere insieme ai suoi eteronimi. In una lettera scritta il 13 gennaio 1935 ad Adolfo Casais Monteiro, lo scrittore portoghese racconta:

“Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia.”

La realtà conosciuta da Pessoa è quindi un caleidoscopio di sensazioni ed esperienze vissute su diverse dimensioni: gli eteronimi – ciascuno con la propria visione della vita e il proprio sentire – la vita vissuta da Fernando Pessoa e il sogno.

Sempre nella stessa missiva inviata a Monteiro, Pessoa aggiunge:

“L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. […] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso”.

Mentre ne Il Libro dell’inquietudine leggiamo:

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L’Orma editore e la volontà di “portare il mondo in Italia”

Nella piccola e confortevole sede di Via Annia 58, nei pressi del Colosseo, tra bicchieri di vino, un pianoforte, e i gatti Charlie e Pip (poco velato omaggio a Grandi Speranze di Charles Dickens), c’è un universo culturale in fermento, animato da una squadra intellettuale e intraprendente. Gli editori Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi, assieme a ai membri della redazione Elena Vozzi e Massimiliano Borelli, ci aprono le porte de L’Orma editore, la casa editrice romana che nell’ottobre 2017 ha festeggiato il suo quinto anno di attività.

Un’Europa possibile si può creare anche attraverso un’idea di letteratura, persino in tempi burrascosi come i nostri, che incitano al separatismo e alla divisione. I libri dell’Orma editore, hanno il grande merito di aver rivelato al panorama italiano autori francesi e tedeschi ancora sconosciuti e di aver dimostrato ai lettori che il mondo è un posto più vasto di quanto credevano.

Oggi abbiamo una definizione onnicomprensiva e vasta di letteratura, che ormai rappresenta tutto e il contrario di tutto, e spesso il catalogo delle case editrici si adegua a questo universalismo di generi e stili. L’aspetto più avvilente dell’attuale realtà commerciale è l’incentivarsi di un’industria editoriale che tende a ridurre il pubblico a una realtà unica e omogenea, appianando gusti e punti di vista.
Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, ideatori dell’Orma editore, hanno avuto il coraggio di andare controcorrente e proporre una letteratura meno rappresentata, troppo a lungo trascurata dal mercato italiano: la letteratura francese e tedesca che, a loro giudizio, «pagava lo scotto di pregiudizi ormai radicati nel pensiero comune». A lungo, affermano i due editori, c’è stato un “errore prospettico” nella valutazione italiana della letteratura mondiale. Attraverso il loro progetto, Lorenzo e Marco si sono proposti di rimediare a questa imperdonabile mancanza nella nostra cultura, gettandosi a capofitto nella loro personale avventura, con l’ambizione guerresca di conquistare un pubblico e, soprattutto, la mente dei lettori.
Fondare una casa editrice non rientrava esattamente nei loro piani: amici di lunga data, entrambi di formazione accademica, ricercatori e docenti universitari all’estero, avevano una carriera avviata e una posizione stabile, lanciarsi in un’impresa simile poteva apparire a tutti gli effetti un salto nel vuoto. Il progetto è maturato nel tempo e si è risolto con una stretta di mano in Piazza Duomo, a Milano, dove è stata fissata la sede legale della casa editrice. A far scoccare l’idea era stata la loro collaborazione congiunta al sito Sguardomobile, da cui sarebbe nata una collana di saggi di letteratura comparata pubblicata dalla casa editrice fiorentina Le Lettere. Traducendo insieme un testo linguisticamente difficile del poeta irlandese Ciaran Carson, si scoprirono totalmente coinvolti da quel lavoro e, soprattutto, avvertirono la volontà comune di «fare il bene del testo» e restituirlo ai lettori nella versione più adeguata possibile. «La letteratura ha reso le nostre vite qualcosa di molto diverso,» racconta Lorenzo Flabbi «eravamo entrambi uomini di lettere e in quel momento l’idea di poter divulgare la nostra passione ci è apparsa come una sorta di vocazione». Da quell’iniziale progetto deriva la missione fondativa dell’Orma: «Tradurre in Italia ciò che si muove in Europa».
Sono tornati in patria con la volontà di arricchire il loro Paese attraverso il bagaglio culturale della loro esperienza, creando una casa editrice di stampo novecentesco dalla fisionomia editoriale riconoscibile e innovativa.
I libri dell’Orma editore sono maneggevoli grazie al loro formato squadrato, conquistano con le loro copertine colorate, e la riconoscibilità del logo li rende inconfondibili: quei particolarissimi occhi stilizzati che, in realtà, rimandano al saggio sui segni incondizionati dell’Illuminista Humbert de Superville. «I segni incondizionati», spiega Lorenzo Flabbi «sono i segni base da cui deriva tutto, da cui sarebbe possibile ricavare qualsiasi immagine». Allo stesso tempo, aggiungono gli editori, quegli occhi stilizzati dimostrano la loro volontà di mostrarci ciò che tutti noi abbiamo sotto lo sguardo e che troppo spesso, per sbadataggine o disattenzione, non vediamo.
Cesare Pavese nella sua carriera di editor e traduttore per Einaudi affermò che la sua missione era proprio quella di “portare il mondo in Italia” e riuscì nel suo intento aprendo il nostro Paese all’incontro con il mito americano. Lo stesso proposito anima gli editori dell’Orma e la loro collana ammiraglia, la Kreuzville, nata dall’unione di due quartieri in cui entrambi hanno vissuto per anni: Kreuzberg a Berlino e Belleville a Parigi. Attraverso la topografia di questi paesaggi si designa l’immagine di un’Europa futura, fatta di mescolanze, differenze che vengono a contatto e, spesso, anche di contraddizioni. La Kreuzville è molto più di una collana editoriale, è un luogo e uno strumento di pensiero.

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